24/04/08

La svolta storica dell’Italia

La vittoria elettorale a valanga del Centrodestra non lascia spazio per interpretazioni, analisi e dietrologie di vario genere.La verità incontestabile è rappresentata dal fatto che gli elettori italiani (con una maggioranza di oltre il 60%) ha spazzato via il “nuovo” che doveva avanzare con i “si può fare”... ma anche... di Veltroni, che doveva nascondere la faccia di Prodi per conservare intatta tutta la vecchia nomenclatura catto-comunista che tanti danni ha arrecato all’Italia.
Con la vittoria incontestabile del “Pdl” e della Lega, per la prima volta in Italia, scompare dal Parlamento
Italiano tutto ciò che caparbiamente restava del ciarpame ideologico risalente alla fine dell’800 ed ha occupato tutto il Secolo XX. Confessiamo candidamente che ci sentiamo più a nostro agio senza la presenza di Ferrero, Diliberto, Giordano, Mussi, Grillini, Luxuria, Caruso e tanti altri folcloristici personaggi. In fondo, di tutti questi, si salva come figura solo Bertinotti, con la sua lucida follia e con una razionalità che applica a principi sbagliati e superati. Alla sinistra non resta che piangere. Fiumi di lacrime che incominciando da Occhetto che sdoganò la figura del “maschio” piangente dopo la Bolognina, e che è stato emulato più volte da Fassino, Cofferati e recentemente anche dallo stesso Bertinotti, Giordano e dalle “prefiche” Giovanna Meandri e Livia Turco. Fiumi di lacrime sotto i ponti di scissioni e flop politici. Lacrime che comunque rispettiamo. Ride solo Di Pietro, ma verrà anche il suo turno, allorché gli elettori di sinistra, stufi dei loro partiti di riferimento, per protesta e per rabbia, ingenuamente hanno dato il loro voto a questo “giustizialista” becero che, malgrado i suoi sforzi e parole e “sentenze” altisonanti, espresse in un italiano approssimativo, non riesce a nascondere la sua vera natura, in verità non bella. Sia chiaro che nessuno vuole “epurare” Di Pietro, specialmente perché è rimasto l’ultimo personaggio folcloristico della “commedia dell’arte” della politica italiana, una macchietta, come lo è stato nel mondo della Magistratura. Malgrado il suo carattere prevaricatore e uno spiccato istinto di sopravvivenza personale, farà tutto da solo.
Ma prescindendo dalle comparse di second’ordine del “teatrino della politica” la vittoria elettorale del “Pdl” e della Lega è tale che persino un personaggio di rilievo e di tutto rispetto come Paolo Mieli, il “Mattioli” dei nostri tempi, non può fare a meno di riconoscerlo. Infatti, Mieli, sul Corriere della Sera, domenica 20 aprile, ha scritto un articolo di fondo ove afferma testualmente: “Appare chiaro a tutti (o quasi) cha la vittoria di Silvio Berlusconi non ha niente di occasionale, che i due partiti che ne hanno fatto da architrave son ben impiantati sul terreno, che la classe politica da essi generata nell’ultimo quattordicennio non ha più niente o ha molto poco di raccogliticcio e che ciò che negli anni scorsi si è detto e scritto per spiegare il successo berlusconiano non era sufficiente. Per quel che riguarda la Destra, resteranno di questa campagna elettorale quattro momenti: la fusione immediata e a freddo tra Forza Italia e Alleanza Nazionale che chiunque fino a un giorno prima avrebbe giudicato pressoché impraticabile; la vitalità della Lega a dispetto delle condizioni di salute di Umberto Bossi, segno che quel partito non è più da anni un’accozzaglia di protestatari ed è destinato a durare; il divorzio (o la momentanea separazione?) tra Berlusconi e l’Udc di Pier Ferdinando Casini, che sia pure in misura diversa, ha giovato a entrambi i coniugi; il successo del libro di Giulio Tremonti La paura e la speranza, un saggio assai dibattuto che ha scalato le classifiche editoriali e che ha dato grande lustro all’impresa”.Con questa grande vittoria elettorale del Centrodestra l’Italia volta pagina. Finisce un lungo periodo di transizione e inizia la Terza Repubblica. I protagonisti di questa svolta storica sono: Berlusconi, che ha dimostrato di essere ancora una volta insostituibile per intuito, capacità creativa e statura politica (pur non essendo un mestierante della politica); Fini che (qualunque siano i motivi che lo abbiano spinto ad accettare, dalla sera alla mattina, l’invito di Berlusconi a costruire insieme un nuovo soggetto politico di centrodestra), con capacità intuitiva notevole, ha dato ancora una volta una nuova direttiva di marcia alla Destra politica italiana; Bossi che dal 1987 ad oggi ha posto all’attenzione di tutti, la necessità di fondare un nuovo Stato, federalista e non centralizzato, ed ha saputo creare una classe dirigente capace di governare a livello nazionale e a livello locale, interprete delle necessità vere dei cittadini e che, pertanto, ha saputo radicare la Lega profondamente sul territorio. Ora gli italiani aspettano fatti, buon governo e possibili riforme istituzionali necessarie e soluzioni dei gravosi problemi che prostrano l’Italia.
Il “miracolo” sarebbe completo se Alemanno riuscisse a battere Rutelli e togliere a Roma la mortificazione di un gruppo di potere che fa capo a Veltroni e allo stesso Rutelli, che limita la capacità di crescita e di sviluppo della città eterna.

14/04/08

DURANTE LA LUNGA E NOIOSA CAMPAGNA ELETTORALE...

Durante la lunga e noiosa campagna elettorale appena conclusa l’argomento scuola ha brillato per assenza.
In previsione della formazione del nuovo Governo che scaturirà dalla nuova consultazione, l'AESPI ha approvato un documento, secondo l'originale formula di una "lettera aperta" di un oscuro insegnante al futuro Presidente del Consiglio, contenente quelli che riteniamo essere i desiderata dei docenti italiani e i principali consigli per il bene della scuola.
Lo trasmettiamo in allegato (con l'invito non soltanto a leggerlo e meditarlo, ma anche a volergli dare la massima diffusione, sia presso le proprie scuole e i colleghi, sia anche negli ambienti politici. Affidiamo la “nostra lettera” anche a “Tradizione” con l’obbiettivo di divulgarla tra i suoi lettori.

Il Presidente Nazionale dell'AESPI: Prof. Angelo Ruggiero

Profilo del nuovo Ministro
L’AESPI ha ricevuto da un amico insegnante, il cui nome manteniamo anonimo per motivi di discrezione e che potrebbe essere chiunque (un insegnante qualsiasi, l’“insegnante – tipo”) la seguente accorata lettera aperta al futuro Presidente del Consiglio. Abbiamo deciso, condividendone appieno lo spirito e le proposte, di divulgarla, adottandola come documento pubblico dell’associazione:

Lettera di un semplice insegnante al futuro Presidente del Consiglio per offrirgli qualche utile indicazione circa il Ministro della Pubblica Istruzione che Egli vorrà scegliere Signor Primo Ministro (chiunque Lei sia), non sono né un accreditato opinionista né un intellettuale di vaglia. Sono un modesto insegnante che ha alle sue spalle circa trenta anni di scuola, ed è solo sulla base di questa esperienza che mi permetto di rivolgerLe qualche modesta indicazione circa la questione citata in epigrafe.
In primo luogo, eviti di scegliere il Ministro del mio Dicastero all’interno della folta categoria dei pedagogisti. Sono costoro, per lo più, individui che non entrano da decenni in un’aula scolastica, se mai ci sono entrati. Hanno essi in mente un’idea astratta dello studente, simile a quella che avevano del “buon selvaggio” certi filosofi del ‘700, ed amano esprimersi per astrusi tecnicismi che poi impongono a noi poveri insegnanti di trincea. Il bello è che trovano spesso colleghi che questi tecnicismi non esitano a far propri, per di più con qualche compiacimento: mi lasci dire, e chiedo venia se urterò qualche suscettibilità, che questi ultimi non sono i migliori fra noi.
Nomini, la prego, una persona capace di limitare le incombenze burocratiche che gravano, sempre più, sulla nostra vita professionale. Signor Presidente: se fossimo uomini e donne vaghi di compilare tabelle, vogliosi di stendere relazioni, innamorati dei moduli, avremmo scelto un altro mestiere, non quello che quotidianamente portiamo avanti. E per limitare le incombenze cartacee bisognerà una buona volta decidersi a circoscrivere le attività che vengono pianificate, certificate, notificate, segnalate, verbalizzate, comunicate. Tanto per fare un esempio di stagione, la nuova normativa sui debiti è la classica toppa peggiore del buco che vuole coprire: ci sta costringendo a penosi e noiosi “recuperi” e a riempire di prosa burocratica una massa cartacea di impressionanti proporzioni. Non sarebbe meglio, Egregio Primo Ministro, tornare al vecchio caro esame a settembre?...... Ma no, che dico, forse è meglio non pretendere troppo dal coraggio di un Governo, di Destra o di Sinistra che sia.
Scelga, Signor Presidente, un uomo che si adopri a far cessare, o quanto meno a fortemente limitare, la smania forse europeistica ma non per ciò meno dannosa dei “progetti” che hanno trasformato le scuole in luoghi in cui l’insegnamento ha scarsissimo rilievo. Oggi ogni due per tre noi docenti dobbiamo abbandonare le nostre aule e soprattutto i nostri alunni a psicologi,
sessuologi, alcolisti anonimi, ex tossicodipendenti in servizio permanente, esponenti della LAV, attori, carcerati redenti o redimibili, ambientalisti e simile variopinta umanità. Vengano, tutti costoro, cortesemente ma fermamente allontanati dalle scuole e la lezione torni ad essere l’attività centrale nei nostri istituti.

Collochi, per cortesia, sul più alto scranno di viale Trastevere una persona convinta che la scuola non debba essere solo un’azienda ma una ordinata comunità di persone che operano per la propria e l’altrui crescita culturale e umana, e che il suo Preside non debba necessariamente recitare la parodia del manager di successo ma essere un saggio pater familias che sviluppa la didattica, dirime pazientemente i contenziosi, valorizza gli insegnanti più validi senza circondarsi di squallidi valet de chambre.
E poi restituisca, il nuovo Ministro, un po’ di autorità a noi insegnanti.
Non perché quando andiamo al cinema ci piacciono le parti da duri, ma perché si è ben visto che senza insegnanti autorevoli le scuole si trasformano in autentiche bolgie infernali, con bulli e pupe e spacciatori a menare le danze. Il suo predecessore aveva in effetti cercato di rendere un po’ meno indulgenti i procedimenti disciplinari, ma al solito non è intervenuto sulla farraginosità delle procedure, la quale oggi è tale da persuaderci a subire in silenzio qualsiasi vituperio piuttosto che dare inizio all’estenuante carovana delle convocazioni, dei consigli straordinari, dei ricorsi alle Commissioni di garanzia e quant’altro… Non sarebbe possibile, anche in questo caso, un saggio ritorno al vecchio caro “sette” in condotta con le note conseguenze?
Mi sono riservato per la conclusione di questa lettera, Signor Primo Ministro, quella che è forse la mia richiesta più ambiziosa e di più difficile accoglimento. Ma tentar non nuoce: al peggio Lei mi dirà un bel no.
La prendo un po’ alla lontana: finora alla testa del dicastero di viale Trastevere abbiamo visto soggetti delle più varie provenienze: medici, giuristi, ereditiere, linguisti, docenti universitari, politici di professione…. Dignitosissime provenienze, si badi, ma che con la scuola nulla o assai poco hanno a che fare. Non si potrebbe, per una volta, metterci un professore, un maestro? Uno che le aule scolastiche le abbia calcate davvero, ed anche le aule professori coi loro sempiterni mugugni, ed abbia conosciuto la bolgia dei collegi docenti, e il chiacchiericcio dei consigli di classe? Uno, insomma, che sulla scuola non faccia piovere dall’alto decreti e circolari come devastanti ukase, ma che dimostri la saggezza di chi le cose le conosce davvero, ab intrinseco, e sa di cosa i suoi colleghi hanno bisogno nella concreta, umile pratica quotidiana dell’insegnamento?
Ma no, che dico… devo essere andato troppo oltre. La presente è una cortese lettera al Primo Ministro (che ringrazio comunque dell’attenzione), non una pagina strappata al più ottimistico libro dei sogni.
Milano, 4 aprile 2008

Per l’AESPI: Il Presidente Nazionale
(Prof: Angelo Ruggiero)

Anche su questo argomento è aperto il dibattito, insieme a concernente la salvaguardia dei principi identitari di una politica di Destra nell’assetto parlamentare determinato dalle appena concluse elezioni.

09/04/08

Scomparirà la Destra politica italiana

Scomparirà la Destra politica italiana
con le elezioni del 13 e 14 aprile prossimo?
Con le prossime elezioni per il rinnovo del Parlamento, sembra che l’Italia si avvii ad avere un sistema politico prevalentemente bipartitico.
Infatti l’unificazione in unica lista di FI e AN, più formazioni partitiche minori, sembra, apparentemente, che debba far scomparire una forza politica dichiaratamente di Destra. Invece, sarebbe più che mai necessaria una politica di Destra, con i suoi principi e i suoi valori che possa giovare ad un’Italia rinnovata e messa in ginocchio dai tanti errori commessi, in ventidue mesi, dal rovinoso Governo di centrosinistra.
Ma che cos’è la Destra? In effetti esistono molteplici concezioni della Destra in politica. Per noi, però, la Destra politica vera è quella che più si avvicina ai principi della tradizione mirabilmente esposta, in tempi non sospetti, da S. Agostino: “Chiunque ripone la felicità umana solo in ciò che si può ottenere o godere sulla terra, nello scorrere e l’abbondare di beni mondani, è stolto e perverso, perché fa della Sinistra la Destra. Erano tali coloro di cui parla il salmo: certo avevano avuto da Dio ciò che possedevano, ma solo ciò che consideravano beatitudine e non desideravano altro. Vien detta nostra Sinistra tutto ciò che possediamo in questo mondo, vien detta nostra Destra tutto ciò che di eterno e immutabile Dio ci promette. Colui poi che ci darà la vita eterna è quello stesso che consola la nostra vita con i beni terreni: egli ha fatto la Destra e la Sinistra”.
Posto tutto ciò, a noi sembra che finché ci saranno uomini animati da una concezione di vita spirituale basata sul principio trascendente, anche in politica la Destra non scompare. I tempi mutano, le esigenze per affrontare i problemi attuali e le incognite del futuro sono tanti e impellenti, e non sempre formule organizzative e simboli politici che rappresentano una gloriosa esperienza, sono adatti e funzionali per guardare positivamente al futuro. Il patrimonio politico, storico, dottrinario della Destra politica italiana nata nel dicembre 1946 (e che ha operato una svolta decisiva a Fiuggi nel 1996), non può e non deve cadere nell’oblio. Le idee-forza di quell’esperienza, possono benissimo modellare e ispirare un nuovo organismo politico (e avere uno sviluppo che dopo Fiuggi non c’è stato) che, senza nulla rinnegare (anzi, rivalutando tanti aspetti sul piano storico) affronti i tempi che viviamo con maggiore capacità di espansione. La scuola tradizionalista afferma che è compito della politica l’attenta considerazione dei mali da rimuovere per ottenere la tranquillità dell’ordine e l’ammodernamento di strutture e istituzioni secondo le necessità dei tempi che si vivono. Oggi, a parte i mille problemi di ordine pratico e di “buon Governo” che si devono affrontare e risolvere in un modo o nell’altro, la maggiore discriminate tra Destra e Sinistra, è data dai motivi etici. Il divorzio dalla politica dai problemi etici è il divorzio della politica da se stessa, e questo la Destra dovrà tenerlo ben presente. Tutto ciò rappresenta il vero unico banco di prova per i politici di Destra che ci stanno traghettando nella nuova esperienza del partito unificato di centrodestra. Ci riusciranno mantenendosi coerenti a principi irrinunciabili con tutti gli enormi vantaggi che ne potrebbero derivare in Italia e in Europa? Lo vedremo. Se poi falliranno non perché il percorso è sbagliato ma solo perché baratteranno principi e valori per i loro vantaggi personali, lo constateremo alla prova dei fatti e ci regoleremo di conseguenza. Ma per ora, è necessario battere nettamente una sinistra letale. Se poi, nell’ambito della Destra vi sono uomini e gruppi che credono sia necessario rimanere vincolati ai simboli, questi meritano rispetto, ma devono dimostrare anche loro chiarezza di idee, bagaglio culturale adeguato, posizioni e proposte non legate solo al passato, a reazioni emozionali
a “ripicche” personalistiche.
Il dibattito è aperto.